lunedì 2 novembre 2009

"Razzismo, Islam e Rivoluzione nel pensiero di Malcolm X" (El-Hajj Malik El-Shabazz[1]) di Federica Mereu [2]


Questo saggio, sintesi della mia tesi di laurea, è stato pubblicato nel 2003 su "La Critica Socilogica" n. 145, trimestrale di studi sociologici, diretta dal Prof. Franco Ferrarotti, ordinario della cattedra di Sociologia II, alla Facoltà di Sociologia dell'Università "La Sapienza" di Roma.
Il saggio e la tesi, in versione integrale e anche in lingua inglese, sono disponibili sul sito www.malcolm-x.it/it/contributi.htm



“…Uomini come Malcolm non nascono spesso, né in gran numero. I nemici del progresso umano beneficiano della sua morte; coloro che per il progresso umano si battono ne sono indeboliti e danneggiati. Ma un pur grave colpo non può annientare la lotta...Il sistema capitalistico non genera solo razzismo, ma anche ribelli al razzismo...” (F. Lovell)



1. La questione dell’identità degli Afroamericani
2. Perché proprio l’Islam
3. Nazionalismo nero rivoluzionario
4. Dai Diritti Civili ai Diritti Umani. Internazionalizzazione del movimento nero
5. Il materialismo del razzismo



Malcolm X, l’Afroamericano più amato e più temuto, “il nero più arrabbiato d’America”, come si autodefiniva, assassinato nel 1965 a soli trentanove anni per aver voluto “cambiare il mondo”, può essere considerato uno dei più brillanti pensatori rivoluzionari del ventesimo secolo.
Da malvivente, spacciatore, truffatore, drogato e immorale, uno dei tanti parassiti della ricca società americana, dopo essere “caduto toccando il fondo della società dell’americano bianco”, Malcolm Little divenne uno spirito critico, un grande oratore, un leader politico di statura internazionale.
La protesta nera, che ebbe inizio nel 1950 in modo moderato e riformista con il Civil Rights Movement, si radicalizzò quando fu chiaro che sarebbe stato impossibile ottenere la trasformazione sociale che i neri richiedevano all’interno del quadro istituzionale esistente. Inoltre, in seguito allo spostamento della rivolta dal Sud rurale ai centri urbani del Nord degli Stati Uniti, al mutamento dei soggetti sociali e delle forme di lotta, la prospettiva integrazionista e non violenta si dimostrò inaccettabile ed inadeguata a questa nuova realtà e, verso la metà degli anni sessanta, si verificò un naturale e spontaneo passaggio alla fase successiva del processo: la resistenza armata. In questa nuova fase del movimento la figura politica di maggior rilievo fu quella di Malcolm X.
Rispetto agli altri leaders neri, Malcolm X ha sviluppato la strategia di lotta che in quelle circostanze più delle altre rispondeva alle istanze dei neri che vivevano la tumultuosa esperienza dei ghetti urbani in rivolta. Lo scopo finale non era più l’integrazione, ma il sovvertimento del sistema americano. Malcolm X era il miglior interprete di quel mondo di miseria, ignoranza e rabbia in ebollizione che minacciava di esplodere perché, a differenza degli altri leaders neri che provenivano dagli ambienti borghesi, Malcolm ci era cresciuto. Per questo i giovani arrabbiati dei ghetti si riconoscevano e ancor oggi si riconoscono, in Malcolm X.
E’ molto difficile definire Malcolm X una volta per tutte, personaggio estremamente complesso che ha vissuto una continua e sofferta trasformazione della propria visione del mondo, un’ascesa verso una coscienza politica sempre più matura. In tutte le fasi della sua vita, dal fanatismo religioso e dall’odio alla riconciliazione, ogni volta egli era convinto e sincero, ma solo negli ultimi due anni di vita (1964/1965) egli fu in grado di ragionare in modo autonomo e di uscire dalle prigioni della mente che lo avevano reso cieco.

1. La questione dell’identità degli Afroamericani
Negli Stati Uniti, durante gli anni della schiavitù lo spirito degli Afroamericani fu completamente spezzato, il loro “orgoglio di razza”, la loro dignità e il rispetto di loro stessi furono distrutti. Il cosiddetto “negro” veniva rappresentato dai bianchi come un essere inferiore e immorale, “meno che umano”. Una delle conseguenze di questo stato di cose fu la perdita della vera identità di Africani Americani, con una terra d’origine, una storia, una cultura, e l’acquisizione di un’identità falsa di cosiddetti “negroes” e l’identificazione con una società che li escludeva e li discriminava.
Secondo Elijah Mohammed, capo spirituale della Nation of Islam[3] -la setta pseudoislamica all’interno della quale Malcolm X militò per dodici anni- per “rimettere in piedi questa razza poderosa”, i neri avrebbero dovuto prendere coscienza della loro miseria, abbandonare la vita immorale che conducevano e, soprattutto, identificare il responsabile delle loro condizioni: l’uomo bianco, il diavolo con gli occhi azzurri (“White man is the devil”).
Per elevare le condizioni fisiche, morali, sociali e politiche degli Afroamericani, la Nation of Islam proponeva una soluzione che si articolava in due momenti maieutici: una pars destruens: distruggere le false definizioni di identità dei neri e una pars construens: costruire un’identità autentica.
Attraverso l’odio verso i bianchi, si intendeva distruggere la falsa identità attribuita ai neri. Quale forza infatti sarebbe stata capace di smuoverli, spingerli a reagire all’oppressione, trasformandoli da soggetti sottomessi, passivi e impotenti in impavidi guerrieri? Attraverso l’antagonismo e il conflitto con un gruppo nemico, infatti, sarebbe aumentato anche il senso di solidarietà, di coesione e l’identificazione con il gruppo. In un secondo momento si sarebbe potuto ricostruire, nel vuoto formatosi, l’identità autentica.
Secondo Luciano Gallino, identità e identificazione sono processi che si implicano a vicenda:
“Non si dà identità né soggettiva né oggettiva senza il riferimento a qualche forma di identificazione, né esiste identificazione che sia scindibile da un’identità”.
[Gallino 1982: 145]

Ma quale ideologia forte in cui credere, a cui aderire, in cui identificarsi avrebbe dato senso alle loro esistenze e ridestato l’antico spirito battagliero? L’Islam, “la religione naturale dei neri”, considerata oggi da alcuni come “l’ultima ideologia”, una religione che nutre una sufficiente carica di odio verso gli ingiusti e gli oppressori, era la risposta alle loro istanze. Attraverso l’identificazione con una religione, la Nation of Islam offriva un’identità adeguata alle aspirazioni dei neri, l’identità di muslims, musulmani, che permetteva di riappropriarsi della memoria storica e delle loro radici nella terra originaria, l’Africa.

Nei dodici anni in cui fu portavoce di Elijah Mohammed, Malcolm X infuocava gli animi delle sue platee attraverso la contrapposizione antagonistica con i bianchi - i diavoli, gli schiavisti, gli oppressori - con posizioni estremistiche, fanatismo religioso e ideali separatisti. In questo senso l’odio era uno strumento per rifiutare le definizioni della realtà date dai bianchi e svolgeva per la comunità nera una funzione catartica e liberatrice.
Malcolm X provava odio e profondo disprezzo verso “la razza bianca, inferiore moralmente, degenerata e corrotta”, la causa di tutti i mali del mondo. Odio e rabbia verso tutti i bianchi sono sentimenti da concepire come risposta a quattrocento anni di schiavitù, reazione all’esperienza della violenza, della discriminazione e dell’umiliazione. Per Malcolm X “chi non odia il suo oppressore è un criminale perché gli permette di opprimere” e “l’uomo bianco non è nella posizione morale di accusare di odio nessun altro che se stesso” [Malcolm X 1992: 287].
L’odio dei neri verso i bianchi non era altro che una reazione all’odio dei bianchi verso i neri. Questa fase di rabbia e di totale rifiuto della società dei bianchi è una fase importante, l’antitesi, nell’evoluzione ideologica di Malcolm X; tuttavia non bisogna dimenticare che è stata una fase intermedia, in seguito superata in una fase più matura di alleanza tra tutti coloro che fossero “sinceramente intenzionati ad eliminare l’ingiustizia che ancora opprimeva il popolo nero”.

2. Perché proprio l’Islam
L’apparizione dell’Islam era qualcosa di nuovo per l’America: nella complessa e variegata tradizione religiosa nera e bianca degli Stati Uniti non ve n’era traccia. Nel 1913 fu Noble Drew Ali, fondatore del movimento social-religioso dei Moors (Mori), ad utilizzare per la prima volta in America un’ideologia islamica [cfr. Lanternari, 1967: 244/257].
Se ad un certo punto l’Islam, che non era la religione dei Padri, entrò in scena facendo numerosi proseliti nella comunità afroamericana fu perché i suoi princìpi fondamentali rispondevano alle sue istanze più urgenti in quel determinato momento storico. Meglio delle altre, la via dell’Islam si adattava alla situazione degli Afroamericani, è questo il senso in cui va intesa la loro conversione.
Religione esclusiva e antagonistica, l’Islam rendeva i neri spiritualmente indipendenti dai bianchi. Antiborghese[4] e rivoluzionario, era lo strumento per rendere migliore la struttura sociale, economica e politica della comunità nera degli Stati Uniti d’America. L’Islam, una delle religioni più diffuse nel continente africano e nei paesi del Sud del mondo, riunificava spiritualmente gli Afroamericani ai loro fratelli in Africa, Asia, e America Latina in nome di una comune esigenza di liberazione dalla stessa oppressione imperialistica.
L’Islam, per la sua vocazione universalistica, era la religione della fratellanza fra oppressi e internazionalizzava la loro lotta. Incoraggiava i suoi fedeli alla lotta anzichè alla sottomissione:
“Nel nostro libro, il Corano, non c’è nessun insegnamento a soffrire pacificamente. La nostra religione ci insegna ad essere intelligenti. Siate pacifici, gentili, obbedite alle leggi, rispettate chiunque, ma se qualcuno leva la mano contro di voi, mandatelo al cimitero...occhio per occhio, dente per dente, testa per testa, vita per vita...”.
[Giammanco 1994: 133]

Maometto era l’esempio da imitare: egli aveva scelto di affermarsi con mezzi umani, ricorrendo alla violenza se necessario, mentre Gesù Cristo, che aveva scelto di morire come uomo, di sacrificarsi e di soffrire, era l’esempio da abbandonare.
Con l’Islam nel cuore gli Afroamericani avrebbero combattuto una Jihad[5], una Guerra Santa contro la società americana per il riscatto del popolo nero. Nella confusione dovuta alla perdita d’identità, l’Islam non era solo un rifugio ma un grido di battaglia.
L’Islam era la religione della vera fratellanza, della giustizia sociale, della solidarietà tra i fedeli, dell’uguaglianza e della parità umana al di là delle differenze di nazionalità, colore della pelle e cultura. Tutto ciò si contrapponeva alla realtà di ingiustizia e discriminazione razziale che caratterizzava la società americana.
“Il fondamento del sistema sociale islamico riposa sul principio della parità degli esseri umani e...della loro fratellanza...L’Islam...non cerca affatto di cancellarle [le differenze], ma afferma il vantaggio che esse presentano...I pregiudizi...[basati] sulla razza biologica, sul colore della pelle, sulla lingua, sulla nazionalità ecc. sono disapprovati dall’Islam. L’Islam considera manifestazioni di pura ignoranza le distinzioni di ceti alti e bassi, di classi inferiori o superiori, di autoctoni e stranieri. Esso annuncia a tutti gli uomini del mondo che essi discendono dagli stessi progenitori e che perciò sono fratelli e hanno pari dignità in quanto esseri umani...Se vi è una reale differenza tra uomo e uomo, essa non può essere una differenza biologica, epidermica, geografica e linguistica, ma una differenza di idee, di fedi, di princìpi... Chiunque...può integrarsi in questa comunità, risieda egli in America o in Africa...abbia la pelle chiara o scura...Non saranno soggetti a discriminazioni razziali, nazionali o di classe di alcun genere…” [Maududi: 67/70].

La Shari’a, la Legge islamica, ha sempre dichiarato ingiusta la discriminazione degli uomini per il colore della pelle. Un hadit di Maometto ci tramanda queste parole:
“Un Arabo non è superiore ad uno straniero, né un bianco ad un nero: la bontà e la fede rendono gli uomini superiori ad altri uomini” [Gabriele Mandel Sugana 1967: 49].

Nel Corano è scritto:
“Noi abbiamo creato tutti i figli di Adamo degni e rispettabili...e abbiamo fatto di voi nazioni e tribù perché possiate conoscervi a vicenda. In verità, il più nobile di voi agli occhi di Allah è colui che è più pio...” [Maududi: 132]. “...E si formi da voi una nazione di uomini che invitano al bene, che promuovono la giustizia e impediscono l’ingiustizia” [Qur’an III, 104].

Se il significato essenziale dell’opera di Maometto fu - come sostiene l’islamista Tofic Fahd [cfr. Puech 1986: 45-46] - la riforma morale e sociale del popolo arabo, l’Islam era la religione adatta a rispondere alle istanze degli Afroamericani, a risollevarne le condizioni e a ritrovare l’identità perduta.
La concezione della religione come strumento di emancipazione è in contraddizione con il pensiero marxiano che la considerava “l’oppio dei popoli”, la sovrastruttura che riflette e mantiene uno stato di dominio. Ma l’eredità marxista ha svolto anche una diversa analisi della religione. Ernst Bloch ha affermato che in Marx è presente anche un’idea della religione come protesta contro la condizione di alienazione dell’esistenza, distinguendone una fase “eretica” e una “teocratica” che distrugge l’apertura verso il nuovo.
“Antonio Gramsci ha fornito le prime direttive per un approccio diverso, da parte del materialismo storico, ad una comprensione sociologica della religione” [Beckford 1991: 152]. “Egli pensava che fosse possibile coltivare una forma non ecclesiastica di religiosità, priva delle contaminazioni ideologiche degli interessi della classe dominante, che costituisse una forza di liberazione, da utilizzare per la formazione di una coscienza di classe rivoluzionaria. In questo modo egli si distaccava dalla concezione meccanicistica e deterministica del rapporto tra struttura e sovrastruttura e pensava che sarebbe stato possibile “esercitare un controllo sulla coscienza con strumenti culturali...pre-condizione essenziale all’esercizio del potere politico” [ibidem: 152/157].

In questo senso, mentre l’Islam svolgeva per gli Afroamericani una funzione rivoluzionaria e liberatrice, al contrario, il cristianesimo, funzionale al mantenimento del predominio dei bianchi sui neri, ne aveva giustificato e permesso l’oppressione. Come aveva scritto C. E. Lincoln nella sua tesi di dottorato sulla Nation of Islam:
“La religione cristiana è incompatibile con le aspirazioni dei neri americani alla dignità e all'eguaglianza. Essa ha rappresentato un ostacolo invece che un aiuto...Ha accettato che tra i suoi fedeli si praticasse la discriminazione in base al colore della pelle, sebbene avesse dichiarato che la sua missione era quella di stabilire una fratellanza universale sotto Gesù Cristo. L'amore cristiano è l’amore dell'uomo bianco per se stesso e per la sua razza. Per chi non è bianco l’Islam rappresenta la speranza di giustizia e di uguaglianza nel mondo che dovremo costruire” [Malcolm X 1992: 281 e seg.].

Uno degli argomenti preferiti dal Pastore Malcolm X durante i suoi discorsi erano le Sacre Scritture, l’arma ideologica di cui l’uomo bianco si era storicamente servito per rendere mentalmente schiavi milioni di esseri umani di colore. Egli voleva allontanare i neri dalla religione dei bianchi che prometteva il Paradiso nell’aldilà (“the-pie-in-the-sky”, “Rallegratevi, dunque e saltate: perché ecco, grande è la vostra ricompensa in cielo” -Luca 6, 23), la religione del perdono, dei neri verso i bianchi naturalmente (“Se voi non perdonate agli uomini le loro mancanze, neppure voi il Padre vostro nei cieli perdonerà” - Matteo 6, 15) e della sottomissione, che aveva persuaso il “cosiddetto negro” a porgere sempre l’altra guancia, ad obbedire e a non ribellarsi.
Malcolm X aveva letto Nietzsche il quale, nella sua opera L’Anticristo. Maledizione del Cristianesimo, metteva in guardia gli uomini contro la religione cristiana, “corruttrice dei buoni istinti”, degenerata, dannosa, decadente, che insegna la “morale degli schiavi” contrapposta all’Islam, la religione dell’orgoglio e della fierezza, una religione aristocratica e virile che non rinnega gli istinti vitali dell’uomo [cfr. Nietzsche 1990: 92-93].

3. Nazionalismo nero rivoluzionario
Dopo il pellegrinaggio alla Mecca, l’hajj, in parte a causa dell’influenza che ebbe su di lui l’Islam ortodosso -che sottolinea la fondamentale unità di tutti gli esseri umani di fronte ad un unico Dio- in parte per essere venuto a contatto anche con rivoluzionari di pelle bianca, Malcolm X ripudiò l’ideologia razzista che lo aveva caratterizzato per molti anni e da allora giudicò uomini e donne in base alle azioni e agli atteggiamenti e non più per il colore della pelle.
In seguito alla rottura con Elijah Mohammed e la sua setta, Malcolm X aderì alla dottrina islamica ortodossa, ma la lotta dei neri era una questione che andava affrontata e risolta sul piano politico. Il 28 Giugno 1964 fondò l’Organization of Afro-American Unity (OAAU), un movimento a carattere laico costituito allo scopo di stabilire un rapporto di comunicazione e di aiuto reciproco tra gli Afroamericani e i loro fratelli Africani sulla base di un programma volto alla conquista dei diritti umani con ogni mezzo necessario (“by any means necessary”).
Malcolm X era alla ricerca di una sintesi fra nazionalismo nero e socialismo rivoluzionario: la sua nuova filosofia politica, economica e sociale era il Nazionalismo nero rivoluzionario.
L’obiettivo politico degli Integrazionisti, politicamente riformisti e moderati e incapaci di guardare ciò che accadeva a livello internazionale, fuori dagli Stati Uniti d’America, era il riconoscimento dei diritti civili degli Afroamericani, l’integrazione nella società americana.
L’obiettivo politico dei Nazionalisti era invece la completa separazione tra bianchi e neri, atteggiamento questo che, di fatto, rendeva il movimento nazionalista politicamente conservatore e statico.
Il Nazionalismo nero rivoluzionario auspicava invece il rovesciamento dello status quo e la riorganizzazione rivoluzionaria dell’intera società attraverso un cambiamento radicale dell’economia, della struttura politica, delle leggi, del sistema educativo e la sostituzione della classe dominante con un nuovo governo basato sulle forze che si oppongono al razzismo. I rivoluzionari non si consideravano parte della minoranza nera in America ma si identificavano con l’umanità di colore, con i popoli scuri che, sulla scena mondiale, erano la maggioranza e stavano cominciando a far sentire la loro voce in difesa dei diritti umani.
“...Io non sono Americano. Sono uno dei ventidue milioni di uomini dalla pelle nera che sono vittime dell’americanismo, uno dei ventidue milioni di vittime della democrazia che non è altro che un’ipocrisia travestita...Io vi parlo da vittima del sistema americano...e non riesco a vedere nessun sogno americano. Quello che vedo è un incubo americano”. [Giammanco 1994: 146]

Qualunque rivolta fosse scoppiata negli Stati Uniti, non avrebbe dovuto essere considerata isolatamente, ma parte di una rivoluzione a livello mondiale che in quegli anni stava avanzando ovunque sulla Terra. “Rivoluzione” nel senso di Umwaelzung, che significa “completo rovesciamento”. I bastioni dell’imperialismo e della “supremazia bianca” sarebbero stati inevitabilmente travolti dall’“invincibile marea storica dell’umanità oppressa”. L’ingiustizia razziale, colonna portante del funzionamento del sistema capitalistico, non avrebbe mai potuto essere risolta all’interno del sistema vigente negli Stati Uniti d’America.

4. Dai Diritti Civili ai Diritti Umani. Internazionalizzazione del movimento nero
Con Malcolm X il movimento nero fece due importanti salti di qualità:
1. Superamento della lotta per il riconoscimento dei Diritti Civili ad un livello più alto, quello dei Diritti Umani.
Nel 1948 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva adottato la “Dichiarazione Universale dei Diritti Umani” che proclamava i diritti civili, politici, economici, sociali e culturali di “tutti i membri della famiglia umana”. Malcolm X intendeva sollevare il caso della sistematica violazione dei diritti umani di ventidue milioni di Afroamericani di fronte alle Nazioni Unite e denunciare la negazione dei loro diritti civili, il genocidio, la discriminazione, lo sfruttamento economico e la congiura politica; egli intendeva trascinare il Governo americano al cospetto di un tribunale mondiale dove avrebbe dovuto spiegare perché, in un paese cosiddetto libero e democratico, i neri non erano trattati come esseri umani.

“Finché si combatte per i diritti civili...si resta entro i limiti giurisdizionali della zio Sam. Nessuno che non viva in questo paese può levare la sua voce in vostra difesa...(perché) rientrano negli affari interni degli Stati Uniti. Tutti i nostri fratelli dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina non possono...interferire negli affari interni di questo paese...” [Giammanco 1994: 143].


2. Internazionalizzato del movimento nero: Malcom X insisteva sull’importanza e sulla necessità di assumere una prospettiva allargata e di pensare su scala internazionale la politica dei neri americani e la loro lotta contro il razzismo, la segregazione, l’oppressione. Il razzismo era lo stesso, al centro e alla periferia del dominio imperialista.
“Congo è come Mississipi. Lo stesso uomo che ci ammazza nel Congo, ci ammazza nel Mississipi” (Malcolm X).

In un’intervista del Gennaio 1965, un mese prima di essere ucciso, Malcolm X dichiarò:
“…quando i ventidue milioni di neri americani arrivano a comprendere di essere oppressi allo stesso modo (di altri) popoli...allora si affronta la questione come una maggioranza che è in grado di esigere, e non come una minoranza che è costretta a chiedere l’elemosina. Non dimentichiamoci che i popoli oppressi di questa terra sono la maggioranza!...”. [Giammanco 1994: 318-319]

Malcolm X spingeva gli Afroamericani ad ampliare la propria prospettiva, a stabilire un collegamento con le lotte di liberazione di altri popoli. In quegli anni le nazioni africane, asiatiche e mediorientali formavano un blocco che era quasi impossibile combattere. Fu questo blocco a dare inizio al movimento di indipendenza tra i popoli oppressi di tutto il mondo. Nel 1961 venne sancita ufficialmente la nascita del Movimento dei non allineati che appoggiava tutte le lotte per la liberazione e l’indipendenza e mirava alla riforma dell’ordine economico internazionale [cfr. ibidem: 229].
“Oggi, il 1964, qualsiasi esplosione razziale che si verifichi in America non può più restar confinata entro questo paese, ma è probabile che diventi la miccia che fa saltare tutta la polveriera...A centinaia di migliaia, oggi, i nostri fratelli hanno perso la pazienza, voltano le spalle al vostro nazionalismo bianco, che voi chiamate democrazia, per seguire la politica combattiva e contraria ad ogni compromesso del nazionalismo nero...Il 1964 segnerà un’evoluzione della rivolta negra che gradualmente entrerà a far parte della rivoluzione nera mondiale cominciata intorno al 1945...Le rivoluzioni rovesciano i sistemi e non esiste su questa terra sistema più corrotto, più criminale di questo che ancora oggi...tiene in una condizione coloniale...ventidue milioni di Afroamericani. Non esiste sistema più corrotto di questo che si atteggia a esempio di libertà e democrazia, si presenta a tutti gli altri popoli con la pretesa di imporre la loro forma di governo…”.
[Giammarco 1994: 163/174]


La questione dell’autodifesa non è una parte centrale della filosofia e del programma politico di Malcolm X, tuttavia è necessario precisare cosa egli realmente intendesse per “dovere e diritto di autodifesa”, perché questo è stato certamente il punto più controverso e sul quale sono stati concentrati gli attacchi. L’autodifesa non era la soluzione dei problemi degli Afroamericani ma uno dei mezzi da usare se necessario. Nella dichiarazione degli obiettivi fondamentali dell’OAAU, al quinto punto strategico, leggiamo:
“...L’Organizzazione per l’Unità Afroamericana, consapevole dell’aumentata violenza che gli Afroamericani sono costretti a subire e dell’aperta tolleranza che di fronte ad essa mostrano in tutto il paese la polizia e gli organi federali, afferma il nostro dovere e diritto di difenderci per poter sopravvivere come popolo. ...Là dove il governo...si è rivelato incapace e/o non disposto ad assicurare alla giustizia gli oppressori razzisti...l’OAAU sostiene che la nostra gente debba assicurarsi che sia fatta giustizia a qualunque prezzo e con tutti i mezzi necessari” [Giammanco 1994: 342].

Malcolm sosteneva il principio dell’autodifesa, un diritto che tutte le società accettano come morale e legale, riconosciuto e garantito dalla Costituzione americana, dalla “Carta dei Diritti Umani” delle Nazioni Unite, persino da Martin Luther King e dal Mahatma Gandi, che lo approvò per coloro che non sono in grado di esercitare la non violenza [cfr. King 1993: 51].
“Credo nell’ira. La Bibbia dice che c’è anche un tempo per l’ira...Non sono favorevole alla violenza sporadica, sono per la giustizia...Ritengo che sia un delitto per chi è stato trattato con brutalità continuare a subire senza far nulla per difendersi...Sono favorevole alla violenza, se non violenza significa continuare a rimandare la soluzione del problema dei neri americani...se questo significa una soluzione differita...per me equvale a una non soluzione...” [Malcolm X 1992: 427-428]. “...Lo stesso Gesù era pronto a buttare all’aria la sinagoga quando le cose non andavano secondo giustizia...Anche Gesù perse la pazienza e, solo allora, sistemò le cose” [Giammanco 1994: 225].

“Predicatore dell’odio”, “razzista”, “istigatore alla violenza”, “agitatore”, “fanatico”, “sovversivo”, “comunista”, così Malcolm X veniva demonizzato di fronte all’opinione pubblica. La contrapposizione manichea tra Malcolm X e Martin Luther King è una costruzione strumentale che screditò l’uno opponendogli l’altro. Martin, simbolo del bene, il leader moderato, assennato e responsabile, rappresentava l’unico modello di comportamento accettabile per un nero; a lui veniva contrapposto Malcolm, simbolo del male, un-american e anticristiano, che rappresentava il comportamento immorale e inaccettabile per un nero che era il frutto del degrado sociale dei ghetti.
Raramente vengono messe in evidenza la complementarietà e la reciprocità di questi due grandi personaggi [cfr. Cartosio, Gambino, Naso e altri 1994: 83], e ancor più raramente viene reso noto ciò che James Cone definisce “spostamento verso Malcolm” , cioè l’avvicinamento, avvenuto dopo il 1965, di Martin Luther King alle posizioni di Malcolm X [Cone 1991: 247].
Malcolm X veniva accusato soprattutto perché “seminava odio”. Ma coloro che hanno ascoltato o letto i suoi discorsi sanno che egli non invitava alla violenza, ma rivendicava il diritto dei neri di difendersi con ogni mezzo necessario (“by any means necessary”), questo era il suo motto, ricorrendo anche alla violenza se necessario.

5. Il materialismo del razzismo
La società americana è gravata da ciò che l’economista svedese G. Myrdal aveva definito “la strana anomalia della presenza dei negri in America” che costituisce il cosiddetto “problema negro”, uno dei tanti dilemmi della più ampia “questione razziale”. Esso consiste in quel complesso di problemi economici, politici e sociali - tutt’oggi irrisolti - che affliggono la minoranza afroamericana: povertà, emarginazione e discriminazione sopravvivono vischiosamente a tutti i livelli della realtà americana e sono all’origine degli squilibri sociali che periodicamente sfociano in gravi conflitti cosiddetti “razziali”.
Le interpretazioni dominanti del “problema negro” avevano sempre mosso dall’indiscusso presupposto che l’America fosse fondata sugli elevati princìpi democratici della giustizia, dell’uguaglianza e della libertà; il razzismo veniva posto da queste analisi esclusivamente sul piano dei valori, inteso come resistenza socio-psicologica da parte della maggioranza bianca all’integrazione della minoranza nera, come un fenomeno mentale patologico, un’aberrazione morale.
La formulazione più celebre del “problema negro” come “dilemma morale” è quella di G. Myrdal che fece un passo in avanti rispetto alle precedenti interpretazioni, ribaltando le responsabilità di questa situazione problematica e presentando il “problema dei negri” come un problema morale degli Americani che non vivevano coerentemente con i loro princìpi etici. Ma, nonostante ciò, Myrdal continuò a considerare il razzismo come una questione di coscienza individuale, il frutto della sistematica violazione dei valori contenuti nella Costituzione, il risultato del divario tra i “nobili” valori democratici e cristiani del “credo americano” e il comportamento effettivo degli individui che è prevalentemente discriminante e dominato dagli interessi personali.
Secondo l’analisi più acuta di quegli studi che hanno elaborato la tesi della “dualità delle società democratiche”, la discriminazione sarebbe invece incorporata nelle stesse codificazioni formali della legge [cfr. Ferrarotti 1988: 106-107]. Secondo Martinelli e Cavalli i princìpi della Costituzione americana “(non potevano)...permettere l’emancipazione dei gruppi subalterni, il cui sfruttamento è parte integrante del sistema economico sociale che ha formulato tali princìpi” [Martinelli e Cavalli 1971: 14].
Malcolm X ha il merito di aver visto il “problema negro” in tutta la sua reale estensione e portata, di averlo inquadrato in una dimensione internazionale: “Non c’è nessun problema negro, c’è il problema della società bianca razzista e sfruttatrice” [Malcolm X].
Il “problema negro” non era solo il problema della minoranza nera che viveva negli Stati Uniti d’America, ma il problema di tutti gli uomini scuri della Terra, oppressi e sfruttati dallo stesso uomo bianco. Malcolm X fu capace di vedere, al di là della maschera del razzismo, la sua natura materialistica e di individuare le profonde motivazioni economiche che lo determinano: “Non ci può essere capitalismo senza razzismo, questi sono due fenomeni indissolubilmente legati l’uno all’altro” [Malcolm X].
Dopo aver viaggiato e aver visto realtà diverse da quella americana, egli si rese conto che il razzismo non è affatto un sentimento naturale dell’essere umano, un fenomeno presente in ogni società e in ogni cultura, ma al contrario è un’“invenzione” che ha storicamente legittimato la sopraffazione umana.
“Il razzismo nasce e si sviluppa storicamente negli Stati Uniti per agevolare a livello socio-psicologico - come scrive O.C. Cox - lo sfruttamento intensivo delle masse nere nelle piantagioni sudiste; costituisce...la sovrastruttura ideologica di tale sfruttamento... Come ha detto Frantz Fanon,...il razzismo è parte integrante...dello sfruttamento spudorato di un gruppo di uomini da parte di un altro gruppo che ha raggiunto uno stadio di sviluppo tecnologico più avanzato...” [Martinelli e Cavalli, 1971: 19].

Il razzismo, quindi, è solo in parte spiegabile forse come una “malattia dell’immaginazione umana”, come lo definì Frederick Douglass nel 1855, o come il frutto di “una crisi morale”, come lo definì Kennedy nel 1963 in un accorato appello alla Nazione, o come un fenomeno casuale, o come un sentimento naturale dell’essere umano, o come un male necessario; la vera natura del razzismo è il suo essere una componente strutturale ineliminabile del modo di produzione capitalistico e della politica imperialistica, è la sua sovrastruttura ideologica, la Weltanschauung del dominio, il suo principale e più efficace strumento, su cui poi si produce e riproduce la “cultura del razzismo”.
Considerate le fondamentali motivazioni di ordine economico che, “in ultima analisi”, sottendono il razzismo, esso può essere analizzato nei termini del materialismo storico elaborata da Marx ed Engels. Esso muoveva dalla tesi secondo cui le produzioni spirituali degli uomini sono determinate “in ultima istanza” dalla struttura economica di una società, la “base reale” su cui si eleva una corrispondente sovrastruttura ideologica che giustifica l’ordine sociale esistente. Ogni forma ideologica non è mai autonoma, ma riflesso e giustificazione della base economica. Secondo questa prospettiva, il razzismo sarebbe dunque l’ideologia dell’economia capitalistica.
Oggi alcuni intellettuali americani stanno riscoprendo Marx. Cornell West, uno dei più popolari intellettuali neri contemporanei degli Stati Uniti, è convinto che il marxismo sia un metodo critico indispensabile per analizzare le contraddizioni del modello americano e per interpretare il razzismo come maschera di una lotta di classe.
E all’obiezione che Marx non si occupò del problema della “razza”, West risponde:
“...I suoi concetti funzionano lo stesso. La maggior parte dei neri è costituita da lavoratori salariati...Se la società arretra sono loro i primi ad arretrare, non solo perché sono neri, ma proprio a causa del posto che occupano nella scala sociale. E’ una realtà che spesso non viene colta perché la si esamina solo nell’ottica razziale” [“L’Espresso” 16 Gennaio 1997]. “Se si vuole discutere seriamente di ‘razza’ negli Stati Uniti, bisogna cominciare non dai problemi della gente nera, ma dalle carenze della società statunitense...”.
[Cartosio 1995: 13]

La realtà del razzismo è, dunque, lo sfruttamento di classe. Lo sfruttamento degli Afroamericani avviene nel processo produttivo: essi sono alla stregua di un “esercito di riserva” di lavoratori marginali, manodopera remunerata a livelli inferiori a quelli ottenuti nelle contrattazioni sindacali. I neri non sono sfruttati solo in quanto neri, ma anche e soprattutto in quanto proletari. “Siamo neri perché siamo poveri e siamo poveri perché siamo neri...come funziona meglio per il potere” [Malcolm X]. La povertà, la condizione oggettiva dei neri americani, sempre in fondo alla piramide, è la realtà del razzismo.
Il conflitto esistente in America non è quindi solo un conflitto tra bianchi e neri, tra colonialisti e colonizzati, ma soprattutto si tratta di una lotta di classe tra capitalisti e proletari. Finché non sarà chiara questa corrispondenza, saremo ciechi di fronte ad un aspetto fondamentale del problema. Considerando il conflitto solo come conflitto razziale, si perde il vero significato della lotta dell’umanità oppressa contro l’ingiustizia. Malcolm X sosteneva che:
“Non è corretto classificare la rivolta nera semplicemente come un conflitto razziale del nero contro il bianco, o come un problema puramente americano. Piuttosto, oggi siamo di fronte ad una ribellione dell’oppresso contro l’oppressore, dello sfruttato contro lo sfruttatore”. [Breitman 1992: 174]

Negli Stati Uniti d’America la stratificazione della società secondo reddito, prestigio e istruzione (Lloyd Warner, 1941) è complicata da un’ulteriore elemento di suddivisione che taglia trasversalmente le classi sociali secondo linee di colore. L’appartenenza etnica, elemento ascritto, determina lo status sociale degli individui e funziona come una visibile linea di demarcazione e confine invalicabile tra un gruppo e un altro. A dispetto del mito del melting pot, secondo cui la società nordamericana sarebbe diventata con il tempo un armonioso mondo “meticciato”, tra i vari gruppi etnici prevalgono quasi sempre relazioni conflittuali e antagonistiche, basate su stereotipi, pregiudizi razziali e discriminazione.
Il razzismo, l’ideologia pseudo-scientifica[6] secondo cui un essere umano è inferiore ad un altro essere umano in base all’appartenenza ad una “categoria razziale”, svolge alcune funzioni socio-economiche fondamentali:
1) serve a giustificare e a legittimare lo sfruttamento dei lavoratori neri: il nero indolente, irresponsabile, disonesto e pigro merita la sua condizione socio-economica inferiore e subalterna.
2) Il razzismo viene utilizzato, inoltre, per impedire la formazione di una coscienza di classe unitaria al di là delle differenze etniche tra tutti i gruppi subalterni. La classe al potere deve ostacolare la coalizzazione dei lavoratori che potrebbe sfociare in ribellioni e disordini, mettendo in pericolo la sua posizione dominante. Per impedire che ciò avvenga, viene utilizzato l’antichissima strategia del “divide et impera”, che funziona mettendo un gruppo contro l’altro, accrescendo le divisioni, l’antagonismo e i pregiudizi tra i gruppi, per diminuirne la forza, per controllarli e dominarli più facilmente; concedendo privilegi solo ad alcuni gruppi, che salgono un gradino più su rispetto agli altri, aumenta il senso della distanza e della differenza.
In questo meccanismo i neri sono l’unico gruppo che rimane ancorato alla base della stratificazione sociale e la loro posizione viene utilizzata come punto di riferimento che aumenta la sensazione di mobilità sociale degli altri gruppi.
3) I conflitti razziali hanno anche un’altra funzione: convogliano l’aggressività dei lavoratori sfruttati verso nemici sostitutivi di quelli reali, distogliendo così l’attenzione sulle vere cause della frustrazione.
La mancata formazione di una coscienza di classe unitaria, la debolezza delle organizzazioni sindacali americane, del socialismo, del comunismo e degli altri movimenti rivoluzionari sono state ostacolate anche dal mito nazionale dell’American Dream. Questa grande suggestione, il sogno secondo cui chiunque, lavorando duramente potrebbe diventare anche Presidente degli Stati Uniti, è stato abilmente utilizzato dal potere per illudere e inebriare il popolo, mantenendolo in uno stato onirico di continua tensione verso un futuro miglioramento delle condizioni di vita individuali, anzichè verso il miglioramento collettivo.
Nonostante molti problemi sociali ed economici, come la disoccupazione, la povertà e lo sfruttamento, abbiano sempre accomunato la povertà bianca e la povertà nera, non c’è stata in America, tranne che in rarissimi casi, un’unità nella lotta per difendere gli interessi comuni indipendentemente dalle differenze di colore, percepite invece come una barriera insormontabile: l’operaio bianco, privo di spirito solidaristico, non ha mai sostenuto le ragioni dell’operaio dequalificato nero.
A causa della centralità della presenza dei neri nella società classista è chiaro che il “problema negro” è insolubile al suo interno, come aveva intuito Tocqueville un secolo e mezzo fa, e la loro emancipazione richiederebbe una trasformazione radicale dell’intera società.
Per Marx il materialismo dialettico, la legge dello sviluppo della realtà storica, è strutturato in modo tale che “ogni momento storico genera nel suo seno le contraddizioni che sono la molla dello sviluppo storico”.
I neri, come minoranza che più delle altre vive le contraddizione della società capitalistica, potrebbero costituire l’avanguardia potenziale del movimento rivoluzionario americano, rappresentando gli interesse di tutti i gruppi oppressi.


Bibliografia essenziale su Malcolm X

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§ Gambino Ferruccio, The transgression of a Laborer: Malcolm X in the Wilderness of America, “Radical History Review” #55, pp. 7/31, 1993.
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Bibliografia Generale

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§ Lanternari Vittorio, Antropologia e imperialismo e altri saggi, Einaudi, Torino , 1974.
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§ Maududi Abu-L’Ala, Conoscere l’Islam, The Holy Koran Publishing House, Beirut Libano, 1978.
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§ Spataro Agostino, Per conoscere l’Islam. I fondamentalismi, la dottrina, il costume, la donna, gli stati, Edizioni Associate, Editrice Internazionale, Roma, 1996.


NOTE
[1] Sarebbe più giusto far riferimento a Malcolm X con il nome che gli fu dato durante il suo pellegrinaggio alla Mecca che segna la svolta più profonda della sua vita. Come tutti i seguaci della Nation of Islam, Malcolm Little (Little era il cognome del padrone imposto ai suoi schiavi, tra cui anche agli antenati paterni di Malcolm X) prese il nome di Malcolm X. La lettera incognita “X” era simbolo di quel nome africano originario dimenticato e, a tempo debito, sarebbe stata sostituita con un più adeguato nome islamico. Durante il pellegrinaggio alla Mecca Malcolm X fu ribattezzato El-Hajj (colui che ha fatto il pellegrinaggio) Malik (Re) El-Shabazz (discendente degli Shabazz, tribù africana forte e coraggiosa ).

[2] Questo saggio è tratto dalla tesi di laurea in Sociologia su Razzismo e identità nel pensiero di Malcolm X di Federica Mereu, discussa un giorno particolare: il 21 marzo, dichiarato dalle Nazioni Unite “Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale”, 1997, Anno Europeo contro il Razzismo.

[3] Nel 1930 Wali D. Farad Mohammed fondò nel ghetto nero di Detroit la “Lost and Found Nation of Islam in the Wilderness of America”, la nazione islamica perduta e ritrovata. Elijah Mohammed fu il suo successore. Ostile a tutti bianchi e in conflitto con le altre organizzazioni nere, soprattutto con quelle integrazioniste, la Nazione dell’Islam si proponeva come principale obiettivo quello di fondare una nazione separata (in America) per i neri americani. Nel frattempo, lo scopo immediato era di liberarli dai residui della mentalità di schiavi e di allontanarli dal cristianesimo, lo strumento del dominio della razza bianca.

[4] Secondo Essien Udom E. U. il vero nemico dei Black Muslim non era il bianco ma il cosiddetto “negro imborghesito”. La lotta di classe era la reazione del proletariato nero doppiamente frustrato: perché nero e perché povero. Per questo, secondo Lanternari, i Black Muslims, assunsero una posizione unica, di rottura radicale con tutta la società dei bianchi [cfr. Lanternari Occidente e Terzo Mondo].

[5] “Al-Jihad” è la guerra santa dichiarata in nome di Allah contro i nemici dell’Isalm. La guerra ha solo carattere difensivo e deve essere condotta senza crudeltà. “Al-Jihad” non è uno dei Pilastri fondamentali dell’Islam, tuttavia è un dovere di ogni musulmano difendere l’Islam. Si distinguono: il grande “jihad”, la guerra contro il nemico interno, le debolezze dell'animo e i costumi deplorevoli e il “piccolo jihad”, la guerra contro il nemico esterno, contro l’empio e l’infedele.

[6] Nel 1995 antropologi, biologi e genetisti hanno firmato un documento in cui sostengono che il concetto di razza non è scientifico ed è illusorio ogni tentativo di classificazione in base ad esso, perché le differenze tra gli esseri umani sono solo superficiali. La presa di posizione degli specialisti è stata trasmessa alle Nazioni Unite con l’invito ad aggiornare i documenti in cui viene menzionato il concetto di razza. Lo scopo di questi studi è di fornire la base scientifica per confutare uno dei pregiudizi più dannori di ogni tempo, il razzismo.

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